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Proseguendo il nostro viaggio alla scoperta della Cascata delle Marmore, oggi vi parleremo della loro storia.
Credo che tutti sappiano che si tratti di una cascata artificiale, nata ad opera dei romani. Anticamente, infatti, le acque del Velino, prima di unirsi a quelle del fiume Nera, seguivano un percorso tortuoso scorrendo lungo la pianura di Rieti, 160 metri sopra la valle sottostante. Formavano zone di acque ristagnanti, piccole cascate interrotte da pozzi, caverne e fosse. L'accumulo di calcare, di cui il Velino è ricco, impediva il libero sbocco del fiume nella valle del Nera e provocava l'impaludamento (lacus velinus) della valle, riducendo le attività agricole. I romani, una volta occupata la regione, si resero conto dei danni che la palude provocava all'economia agricola di quei territori e così affidarono al console romano Curio Dentato la risoluzione del problema. Il console, attraverso la costruzione di un canale conosciuto con il nome di cavo Curiano, avviò la prima bonifica della valle reatina. Il risultato fu che le acque del Velino diedero origine al meraviglioso spettacolo della cascata delle Marmore, riversandosi velocemente nella valle sottostante, con tre diversi salti per una altezza totale di circa 160 metri. L’opera consentì il prosciugamento delle pianure reatine e lo sviluppo delle attività agricole connesse. Queste, le vere origini della cascata delle Marmore, ma la fantasia popolare, ha ammantato di poesia la loro nascita immaginando origini divine, delle quali abbiamo già parlato nell'articolo “La leggenda della Cascata delle Marmore” > LEGGI TUTTO.
L’opera idraulica portò numerosi benefici alle popolazioni reatine, ma grandi disagi a ternani e narnesi, abitanti della valle, che subivano le inondazioni del Nera, non più in grado di contenere anche le acque del Velino. Questo portò a contrasti secolari tra ternani e reatini. I primi cercavano di chiudere il cavo Curiano, i secondi lo riaprivano scatenando, talvolta, delle vere e proprie operazioni di guerra. I contrasti si trascinarono nel tempo fino a scaturire in un processo nel quale Cicerone, che ce lo racconta, sostenne le ragioni dei reatini contro i ternani rappresentati da Aulo Pompeo. La sentenza fu dapprima soddisfacente per le parti, ma poi i contrasti si riaccesero e Tacito, nel primo libro degli annali (LXXIX), scrive che l’imperatore Tiberio prese in considerazione la possibile riduzione del flusso dei due fiumi, affluenti del Tevere.
Anche dopo la caduta dell'impero romano d'occidente le inondazioni continuarono e, nel medioevo, furono causa di malattie e pestilenze al punto che i frati dell’Abbazia di Farfa misero mano all'approfondimento del cavo Curiano.
Agli inizi del XV secolo i reatini pensarono di scavare un nuovo canale al fianco di quello curiano, ma i ternani si opposero dando il via ad una nuova guerra. Soltanto grazie alla mediazione di Braccio Fortebraccio da Montone si raggiunse un accordo per la costruzione del nuovo canale conosciuto con il nome di cavo Reatino. Nemmeno questo, però, impedì, il riaccendersi dei contrasti tra le due città.
Nel 1545, infatti, il rischio di un nuovo scontro armato, portò papa Paolo III (Alessandro Farnese), ad incaricare l'architetto fiorentino Antonio Sangallo il giovane della costruzione di un altro canale, più a valle e più profondo del cavo Reatino.
I lavori iniziarono tra mille difficoltà, soprattutto a causa delle malattie contratte in quelle zone malsane di cui restò vittima lo stesso Sangallo, morto a Terni nel 1546. Il completamento dei lavori portò alla inaugurazione del cavo Paolino che sostituì, nelle sue funzioni, il cavo Curiano ma che non risolse i problemi di impaludamento e di straripamento del Tevere. Il cavo Paolino venne chiuso e si decise la costruzione di un ponte regolatore per le acque del Velino durante le piene. Il canale fu portato ad una larghezza di 16 metri e ad una profondità di 14. Anche il nome cambiò, da cavo Curiano prese il nome di cavo Clementino dal papa che lo aveva voluto, Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini 1592-1605). L’opera fu potenziata nel tempo con la costruzione di argini e lo scavo di canali tra i quali nel 1782 il quello che prese il nome di canale Pio da papa PIO VI (Giovanni Angelo Braschi 1775-1799).
Risolti, finalmente, i problemi di inondazioni delle pianure, la cascata delle Marmore, prese l’aspetto che mantiene anche oggi: con un balzo di 80 metri e cascate per 165 è la cascata più alta d'Europa.
Il maestoso spettacolo che ci offre ha sempre ispirato letterati, pittori e poeti, tra i quali spicca il nome di Lord Byron che testimoniò la bellezza e la maestosità delle cascate delle Marmore che sovrasta, in ogni modo, tutte le cascate ed i torrenti della Svizzera messi insieme.
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