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Un ignoto ci ha lasciato questa esortazione: “rinunciare
alla propria identità e rinascere a una nuova consapevolezza del sé”.
Rinunciare alla propria identità…..
Se non ci spogliamo di un abito e su questo ne indossiamo un
altro, finiremo per essere infagottati, quasi mascherati.
Non ci spogliamo di un vestito che comunque vogliamo
nascondere indossandone un altro, l’esito non sarà molto confortevole.
Anche in un vestito posso trovare una identità… tanti
vestiti, tante identità.. che confusione! Ecco la ragione della rinuncia.
Un abito simbolico è un qualcosa che copre e non può essere
confuso con ciò che copre.
Un abito in questo rapporto con l’identità rappresenta un
disagio.
Il disagio è il mio mezzo di conoscenza, il mio maestro.
Il disagio propone una sfaccettatura di un problema e non
manifesta la complessità di questo.
Il disagio esprime la sintesi di un processo che coinvolge
la complessità che struttura una persona.
Identità è essere identici.
Identici a chi e a che cosa?
L’identità di cui abbiamo parlato postula il fenomeno
dell’uguale a se stesso.
Se la personalità è un puzzle di informazioni che
l’individuo raccoglie dal suo bagaglio genetico, dagli elementi formativi e
sociali, e se l’identità è l’essere uguali a se stessi, devo dedurre che a
partire dai geni fino alle influenze sociali, in tutto sussiste un elemento che
è uguale a se stesso.
E se io sono uguale a me stesso, chi sono io?
Nella cultura di questo secolo si è creduto che oggettivando
le conoscenze si potesse raggiungere la certezza.
Il passaggio dal soggetto all’oggetto ha massificato tutte
le esperienze del vissuto ed ha drammaticamente impoverito quelle soggettive.
La nostra cultura clericante ha demonizzato l’ego ponendo in
seria discussione la nostra identità.
Iddio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza.
Scopriamo un elemento di identità per poi perderci perché
non sappiamo chi è Dio. E allora abbandoniamo il soggetto e passiamo
all’oggetto, vale a dire che poco ci occupiamo di noi e tanto di ciò che è
intorno a noi.
Ritorniamo alla nostra personalità quale espressione delle
nostre disposizioni e delle dinamiche proposte dalla vita.
Possiamo dire che non conosciamo la nostra identità.
Sappiamo intuitivamente che siamo uguali a qualcosa e per
prassi diamo dei connotati a questa identità basandoci su fattori genetici,
educativi, sociali.
L’esito di questa operazione non è molto incoraggiante
osservando il malessere fisico, psichico e sociale che imperversa.
Se riusciamo a non guardare più fuori e piuttosto guardarci
dentro, ritorna l’esortazione già menzionata. Rinunciare alla propria identità
e nascere a una nuova consapevolezza del sé.
Come possiamo sperimentare e scoprire la nostra identità?
Certamente, uno strumento primario, è rappresentato dall’osservazione delle
nostre emozioni. Esse sono sintesi dell’incontro dei cinque sensi con l’aspetto
pertinente ai sensi.
Da questo incontro, si genererà una struttura complessa che
risponde ai fattori genetici e formativi congiunti alle disposizioni affettive,
volitive e cognitive individuali.
La storia della nostra vita è scandita dalle emozioni.
L’emozione è una vibrazione che si materializza in una
azione e quando non è possibile attuare l’azione, la vibrazione si incista e si
colloca nella parte del corpo più consona alla emozione stessa producendo, a
volte, un malessere espresso ed anche non espresso.
Queste cisti emotive sono molto dannose all’espressione
della nostra identità perché tendiamo ad identificarci in esse a nostra
insaputa.
La ricerca per ritrovare la nostra identità non utilizzerà
elementi oggettivi ma verterà alla ricerca e comprensione degli elementi
soggettivi, le emozioni incistate.
La memoria fissa l’immagine a sua volta prodotta dalla
emozione soggettiva.
Ricerchiamo la natura dell’emozione legata all’immagine
fissata nella memoria.
Ricerchiamo l’origine dell’emozione.
Ricerchiamo le cause che hanno impedito di metabolizzare
l’emozione.
La consapevolezza e le conoscenze acquisite nel tempo, che
significato danno nel presente alla mancata metabolizzazione del passato?
Quando avremo cancellato la memoria delle emozioni non
metabolizzate saremo pronti a vivere il presente con una nuova coscienza del
sé.
27-10-2017
Lucia Tommasini
Giannandrea
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